L’atletica russa fuori dai Giochi di Rio

Tra giugno e luglio si è decisa la definitva esclusione della squadra russa di atletica. Prima il CIO, al termine del summit svoltosi a Losanna, ha confermato la decisione del consiglio Iaaf di escludere  la Nazionale di atletica russa dalla prossima Olimpiade, oltre che dalle competizioni internazionali in programma, per lo scandalo del cosiddetto doping di stato. A novembre 2015 una commissione d’inchiesta della Wada, l’Agenzia mondiale anti-doping, ha presentato dopo undici mesi di accertamenti investigativi  un dossier di 323 pagine, in cui si delineava la presenza nell’atletica russa di una struttura che gestiva l’uso sistematico di medicinali proibiti da parte di federazioni e atleti di altissimo livello e di intimidazioni a chi cercava di far rispettare le regole e i controlli. L’Agenzia invitava la Iaaf a sospendere gli atleti russi da ogni competizione. E infine questo è stato il verdetto della Iaaf e a seguire quello del CIO.

Inevitabilmente sono scattate le reazioni in chiave politica da parte di Putin, che rigetta la generalizzazione che non distinguerebbe le responsabilità individuali, e sulla stessa linea le rimostranze degli atleti, prima fra tutti la grande campionessa del salto con l’asta Yelena Isinbayeva.
La Federazione russa di atletica ha percorso senza successo la strada del ricorso collettivo al TAS, il tribunale dello sport con sede a Losanna, che poteva decidere di valutare la possibilità della partecipazione individuale ai Giochi di Rio da parte degli atleti in grado di provare di essere puliti che avrebbero potuto  "eventualmente gareggiare in forma neutra". 
C’è chi valuta positivamente la decisione, come punizione esemplare in un mondo inquinato dal doping; chi individua gravi vizi sul piano giuridico generale; chi guarda al risultato sportivo e quindi alla veridicità di gare e medaglie che possono essere falsate certamente dal doping, ma anche dall’ingiusta assenza di grandi atleti puliti.